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4 WAYS turismo

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La vocazione di Matteo

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La vocazione di Matteo nell'interpretazione di Caravaggio

L’arte cristiana ha avuto storicamente due grandi scopi: cercare di meditare e raccontare il Mistero di Dio manifestato dall’incarnazione del Figlio. Le nostre chiese sono custodi di un grande patrimonio storico-artistico che, pur essendo sempre più complesso e difficile da conservare, può diventare una grande risorsa non solo per la memoria delle comunità cristiane e civili che questi beni hanno prodotto ma anche per un vero e proprio annuncio del Vangelo attraverso l’arte figurativa. Potremmo arrivare a dei repertori di immagini di opere del nostro territorio, con opportune indicazioni artistiche, scritturistiche e iconografiche, per iniziare questa strada, stimolando al tempo stesso gli educatori, e i parroci delle comunità ad utilizzarli nel loro impegno di catechesi e di annuncio del Vangelo.


Purtroppo rimane da fare ancora molto e le nostre opere d’arte spesso sono ancora “mute” come occasioni di annuncio della Buona Novella; lo stesso documento della Conferenza episcopale italiana Educare alla vita buona del Vangelonon fornisce indicazioni e stimoli per questo cammino.

Volevo proporre ai lettori di Toscana Oggi un esempio delle potenzialità dell’arte cristiana nell’annuncio del Vangelo, utilizzando un’opera di grande valore artistico: la Chiamata di Matteo del Caravaggio, come spesso faccio con gruppi negli incontri di introduzione al Vangelo.

Caravaggio (1571-1610) è uno dei geni dell’arte occidentale di tutti i tempi, un pittore che, dopo gli artifici del Manierismo, introduce nelle sue opere rudi richiami veristici e naturalistici, creando opere che provocano scandalo e, a volte, vengono anche rifiutate dal committente. Il suo stile rivela la profonda inquietudine umana ma anche la profonda spiritualità dell’artista e la sua intenzione di attualizzare ai suoi tempi il messaggio cristiano. Il quadro della Chiamata è il primo di tre dedicati al santo Evangelista, dipinti fra il 1599 e il 1602 per la cappella del prelato Mathieu Cointrel, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma; le altre due tele hanno per tema San Matteo ispirato da un angelo ed il Martirio del Santo.

Le fonti delle opere sono i Vangeli sinottici, per la Chiamata, la letteratura agiografica e gli scritti dei Padri della Chiesa per le altre. Leggiamo nel primo Vangelo, attribuito per antichissima tradizione risalente a Papia e a Ireneo, al nostro Apostolo, come viene raccontata la sua chiamata da parte del Signore:

“Andando via di là [cioè da Cafarnao, dopo la guarigione di un paralitico a cui sono stati rimessi i peccati, ndr.] Gesù vide un uomo, chiamato Metteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli si alzò e lo seguì” (Matteo 9,9). Matteo era un collaborazionista dei Romani, per i quali riscuoteva le tasse nella città di Cafarnao e per questo era odiato dagli Israeliti ed indicato al disprezzo del popolo come pubblico peccatore. Dopo la chiamata, Matteo organizza una festa nella sua casa, alla quale partecipano molti suoi amici, “pubblicani e peccatori”, provocando un forte scandalo fra i farisei (cfr. Matteo 9,10-13). Questi sono gli avvenimenti narrati nel Vangelo di Matteo. L’Evangelista è ricordato raccolto in preghiera con gli altri apostoli e con Maria nella stanza dove erano soliti riunirsi e dove verrà donato lo Spirito Santo (Atti 1,13-14). Le fonti agiografiche narrano che dopo aver scritto il suo Vangelo, Matteo lo dona ai cristiani di Gerusalemme e parte in missione per l’Etiopia, dove subisce il martirio ad opera di un sicario del re, mentre stava celebrando la santa Messa.

L’iconografia della Chiamata deriva direttamente dal racconto evangelico. Caravaggio rappresenta l’evento all’interno di una stanza anonima, del tutto spoglia e poco illuminata. Le figure e l’essenziale arredamento sono create dalla luce (tecnica tipica del pittore) che non è però una luce naturale, non proviene dalla finestra sulla parete che fa da sfondo al quadro, ma proviene dall’alto, nella parte destra del dipinto: è quindi una luce divina che mette in evidenza soprattutto il volto e la mano destra di Gesù, collocato con Pietro dalla parte da cui proviene la luce, e Matteo con i suoi amici esattori, posti intorno al tavolo delle imposte sulla sinistra del quadro. Gesù e Pietro sono vestiti con tuniche di forme classiche, che rinviano quindi al tempo storico dell’incarnazione, mentre gli altri personaggi sono elegantemente vestiti come uomini bene del proprio tempo, segno della volontà del pittore di attualizzare il Vangelo. Il quadro è vivificato da un serrato dialogo fatto di gesti e di sguardi: il fulcro è il gesto della mano destra del Signore e il suo sguardo, amplificati da Pietro, che indica verso Matteo. Il pubblicano, elegante nelle sue ricche vesti e con lunghi capelli e barba fluente, risponde con uno sguardo perplesso e con la mano sinistra che si indica, come se dicesse: “Vuoi proprio me? Che vuoi da me?”.

La mano del Signore è chiaramente la riproduzione di un’altra mano molto famosa, ripresa dalla Creazione di Adamo dipinta da Michelangelo per la Cappella Sistina: significativamente Caravaggio riprende non la mano del Creatore ma quella della Creatura, evocando con questa citazione il Cristo come nuovo Adamo.

Intorno a Matteo ci sono alla sua destra due uomini, uno vecchio e uno più giovane che non si accorgono di niente perché sono avidamente intenti a contare le monete sul banco. Alla sinistra del pubblicano ci sono due ragazzi, con eleganti cappelli piumati che guardano stupiti, con superficialità Gesù e non comprendono quanto sta avvenendo intorno a loro.

Quale riflessione possiamo fare collegando il Vangelo scritto a quello dipinto? Chi chiama Gesù, solo Matteo o chiama tutti ma solo il pubblicano se ne rende conto e risponde di sì?

Gesù chiama tutti, chiama in modo diverso e propone un cammino per ognuno di noi, che siamo persone diverse: ma chiama tutti a diventare veri uomini e a scoprirci figli prediletti del Padre e quindi fratelli fra di noi, come il Signore ci testimonia con la sua vita. Non tutti però siamo disposti a seguirlo o addirittura non ci accorgiamo della chiamata, come fanno i personaggi insieme a Matteo. Solo Matteo risponde, forse perché il suo animo è inquieto e non ne può più di una vita vissuta solo inseguendo il denaro.

In merito alla chiamata possiamo richiamare e meditare sull’esperienza di Elia (1 Re 19,1-18), che sull’Oreb non scopre Dio nei segni classici che gli venivano attribuiti dall’Antico Testamento (il vento impetuoso, il terremoto e il fuoco), ma in un segno del tutto nuovo, nel “sussurro di una brezza leggera”: evidentemente il profeta non si fossilizza nelle vecchie manifestazioni dell’Onnipotente ed ha un cuore ed una mente liberi ed aperti alle novità divine.

Spesso anche noi inseguiamo Dio fuori di noi, negli avvenimenti eclatanti, nella apparizioni…, e non ci accorgiamo, tutti presi dal rumore e dalle chiacchiere, del “sussurro di una brezza leggera” che soffia dentro di noi o ci parla negli avvenimenti della storia personale e delle nostre comunità.

La conversione cambia profondamente la vita di Matteo. Caravaggio lo dipinge mentre scrive il Vangelo: un povero vecchio inginocchiato in un equilibrio precario su uno sgabello mentre ascolta rapito un giovane angelo che fa un gesto con le mani di enumerazione: probabilmente detta all’Evangelista la genealogia con cui si apre il suo Vangelo, che parte da Abramo e finisce con “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.” (Matteo 1,1-17). Che grande cambiamento dall’aitante, ricco ed elegante pubblicano al povero vecchio Evangelista: Matteo ha donato tutto per la sequela del Cristo, arrivando a donare anche la vita. Il terzo dipinto raffigura Matteo in vesti liturgiche, schiacciato a terra davanti all’altare, fra il terrore dei fedeli, da un possente giovane muscoloso armato di spada: sembra questo il protagonista della scena e invece è il povero vecchio che alza debolmente una mano per ricevere da un angelo la palma del martirio.

Matteo abbandona tutto, abbandona una vita vissuta solo per il suo egoistico benessere, per cui era arrivato ad essere collaborazionista degli occupanti e oppressore del suo popolo, per seguire il Maestro che per lui diventa via, verità e vita. Umanamente parlando è una disastrosa sconfitta, come fu per il suo Maestro e come è per tanti cristiani, ma è una sconfitta che realizza la sua vita e gli apre l’accoglienza nella casa del Padre.

 

Don Carlo Prezzolini

 

Per chi volesse approfondire mi permetto di citare un mio lavoro: Il Signore mi chiama a seguirlo. Le Storie di San Matteo nell’interpretazione di Caravaggio, in «Rivista liturgica», 3, 2010, pp. 452-462

 

Didascalie Foto:

- Caravaggio, La chiamata di Matteo, dipinto su tela della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

 

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